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Ance. Costruzioni: la crescita non si vede né si sente

Continua lo stato di sofferenza dell’industria delle costruzioni. Timidi segnali positivi ma non sufficienti per uscire dalla crisi, denuncia l’associazione degli imprenditori edili

L’industria delle costruzioni, denuncia Ance, è ancora al palo e non decolla. È questo il grido di allarme, l’ennesimo, dell’associazione degli imprenditori edili lanciato in occasione della presentazione dell’Osservatorio congiunturale dell’Industria delle Costruzioni. Male gli investimenti nel settore (salvo qualche eccezione), ferma la ricostruzione post terremoto nel Centro Italia, in calo i permessi di costruire, continua la restrizione del credito per le imprese, diminuiscono i mutui alle famiglie, la legge di Bilancio 2020 stimolerà i consumi ma non gli investimenti pubblici. Per fortuna ci sono anche segnali positivi come la crescita delle compravendite di unità immobiliari e degli investimenti in alcuni comparti dell’edilizia che tuttavia non bastano a compensare un tristissimo dato di fondo, denuncia Ance: “Di questo passo ci vorranno 25 anni per uscire dalla crisi, nel 2045!!!”
E, poi, si ci lamenta del PIL che non cresce. Anzi, rispetto al 2007 siamo ancora al -4,1% a fronte del +22% di crescita degli Usa, del +15,5% di Germania, del 14,8% di Regno Unito, dell’11,3% di Francia e del 7,4% di Spagna. Insomma, non abbiamo ancora recuperato rispetto ai livelli pre-crisi. Come ben sappiamo, è mancato in tutto questo periodo e manca tuttora l’apporto dell’industria delle costruzioni. Inoltre, ed è questa un’accusa alla politica, che continua a preferire lo stimolo dei consumi piuttosto che pensare agli investimenti, come mostra la legge di Bilancio 2020. Sigla Ance: “La debolezza dell’economia italiana nel tempo è dovuta a scelte di politica economica ispirate al sostegno dei consumi piuttosto che degli investimenti”.

Gli investimenti dal 2007 al 2019

Le cifre di oltre 12 anni di crisi sono senza appello. Dal 2007 al 2019 gli investimenti in costruzioni scendono del -35,5%; le abitazioni del -30,6%; le costruzioni non residenziali del -37,4%; Quelle private del -25,/ mentre quelle pubbliche si dimezzano: -50,9%. Unica cifra che cresce è quella degli investimenti in manutenzione straordinaria – +23,5% – stimolata essenzialmente dagli incentivi fiscali dell’ecobonus e del bonus casa. In globale in 12 anni gli investimenti in costruzioni sono scesi del 58,3%.
Cifre drammatiche che si sono tradotte nella decimazione del numero delle imprese di costruzioni – 130 mila – cui occorre aggiungere quelle della filiera e del numero dei lavoratori edili espulsi dal ciclo del lavoro: 642 mila. Anche a questi occorre aggiungere quelle delle aziende che lavorano per il mondo delle costruzioni. Una vera macelleria sociale.

Timidi segnali di ripresa

In tanta depressione occorre registrare qualche segnale incoraggiante: “Nel 2019 gli investimenti in costruzioni sono cresciuti del 2,3% rispetto al 2018”. Al buon inizio nella prima parte dell’anno ha fatto seguito una ceduta nel secondo semestre.
Un segnale positivo vene dagli investimenti in opere pubbliche (+2,9%), dopo una caduta iniziata nel 2005, 14 anni fa! Avete letto bene: 14 anni fa. Complessivamente il comparto delle opere pubbliche in questo periodo ha perso il 58% degli investimenti.

A livello locale la spesa in conto capitale (ovvero la spesa sostenuta per gli investimenti pubblici) ha registrato un aumento del 16%, grazie allo sblocco degli avanzi di amministrazione degli enti locali e ai programmi di spesa previsti nelle ultime leggi di bilancio. Però “tale aumento non riduce la forbice tra spesa corrente e spesa in conto capitale che rimane sotto del 47% rispetto al 2008”.
Anche la ricostruzione post terremoto in Centro Italia segna il passo. Dopo tre anni e mezzo dal primo sisma sono stati spesi ben 49 milioni su 2,1 miliardi programmati per la ricostruzione pubblica. Per quella privata va ancor peggio: solo il 13% dei danneggiati (circa 80 mila) ha presentato domanda di contributo. Delle domande presentate il 61% è ancora nella fase istruttoria.

Il mercato immobiliare

Particolarmente allarmanti, però, sono i dati sui permessi di costruire che nel I trimestre 2019 sono diminuiti dello 0,9% nell’edilizia residenziale e del 7,9% in quella non residenziale. E’ facile prevedere che un calo del genere nei prossimi anni potrà portare effetti negativi. Positivo è invece il fatto che lo scorso anno la produzione di nuove abitazioni, pesantemente colpita (-70%) della lunga crisi, è cresciuta del 5,4% rispetto al 2018. Per fortuna continuano a crescere anche le compravendite che nel 2019 si sono attestate intorno alle 600mila unità.

Restrizione del credito

Nel secondo e terzo trimestre 2019, così denuncia Ance, i finanziamenti alle imprese per il comparto residenziale hanno registrato diminuzioni, rispettivamente del 2,2% e dell’1,8%, e quelli per il comparto non residenziale sono scesi di oltre il 30% rispetto ai primi nove mesi del 2018.
Per di più sono diminuiti anche i mutui alle famiglie per l’acquisto di abitazioni erogati in Italia. I dati dei primi nove mesi del 2019 sono negativi rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con un calo dell’8,2%.

Le previsioni 2020 di Ance

Che cosa prevede Ance per l’industria delle costruzioni quest’anno? In sintesi
La previsione di fondo per il 2020 è di un aumento degli investimenti in costruzione solo dell’1,7% in termini reali. E quindi in maniera puntuale:
-Investimenti nella nuova edilizia abitativa +2,5% rispetto al 2019 – prosegue tendenza positiva, seppur di intensità più contenuta rispetto agli anni precedenti.
-Investimenti in manutenzione straordinaria dello stock abitativo +1,5% grazie all’impatto dei primi interventi con eco e sismabonus su interi condomini e del bonus facciate.
-Investimenti in non residenziale privato +0,4%.
-Investimenti in opere pubbliche +4% dovuto essenzialmente alla ripresa dei bandi di gara degli anni precedenti e al rifinanziamento del cosiddetto Piano spagnolo, ovvero il rifinanziamento del Programma di investimenti per i comuni: 500 milioni di euro annui negli anni 2020- 2024.

La conclusione sconsolata è che “Di questo passo ci vorranno 25 anni per uscire dalla crisi, ossia nel 2045!!!” E aggiungiamo noi, ristrutturazioni, recupero e riqualificazione energetica rimarranno ancora il nocciolo duro del lavoro dei prossimi anni.

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a cura di Ennio Braicovich