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Sconto in fattura. In Audizione Mangione denuncia la catastrofe sociale

“E una pistola puntata alla tempia delle imprese italiane”. Così si è espresso il presidente di SPI Finestre davanti ai membri della X Commissione permanente (Attività produttive, commercio e turismo) a proposito dell’articolo 10 del Decreto Crescita. Sarà “una catastrofe per le 28 mila piccole imprese Italiane, solo nel settore serramenti”.

Lo Sconto in fattura è stato al centro dell’Audizione di Finco alla X Commissione permanente (Attività produttive, commercio e turismo) della Camera dei Deputati. In prima fila il direttore della Federazione Angelo Artale e Anfit con la presidente Laura Michelini e l’imprenditore Francesco Mangione di Spi Finestre.

Angelo Artale

A fine audizione chiosa e sintetizza Artale: “Direi che è andata bene, con una discreta presenza di parlamentari. Ci sono state molte domande ivi incluse quelle su, in ipotesi, come modificare sconto in fattura. La nostra risposta è stata chiara: va eliminato. Ma se proprio non si riesce ad ammettere che è un errore, occorre limitarne l’applicazione escludendo i lavori inferiori ad una certa soglia e consentendo la cessione del credito agli istituti bancari.

A nome degli operatori del settore è intervenuto Francesco Mangione che in tre minuti – questo il tempo concesso, senza diritto di replica alle numerose domande dei membri della Commissione – ha raccontato il disastro sociale che l’articolo 10 sta scavando nel mondo del Sistema Casa e nel settore dei serramenti. Qui di seguito la trascrizione dell’intervento di Mangione.


Francesco Mangione

Premessa
Nella primavera 2019 il governo di allora ha inserito nel Decreto Crescita l’articolo 10, che consente al consumatore di chiedere lo sconto del 50% in fattura cedendo al venditore il relativo bonus fiscale. Il venditore ha poi facoltà di cederlo al suo fornitore con espresso divieto di monetizzarlo presso il sistema bancario.

Insomma qualcuno dovrà finanziariamente sostituirsi alle casse dello Stato, affinché il consumatore abbia il 50% di sconto in fattura, e questo qualcuno non può essere chi si occupa di credito, cioè le banche, poiché è espressamente vietato dall’articolo 10!! Sarà invece l’impresa ad accettare e compensare il credito in 5 anni (ma fallirebbe molto prima).

Il quadro di mercato dell’ecobonus

Facendo riferimento al rapporto RAEE 2019 di ENEA (pag. 41) con sintesi dal 2007 al 2017 si scopre che nel solo 2017 gli occupati diretti ed indiretti, associati agli incentivi, sono oltre 51mila !!! Nel 2018 a causa della riduzione del bonus da 65% a 50% gli investimenti sono crollati da 3,7 miliardi a 3,3 miliardi (di cui 1,2 per serramenti e schermature). Insomma, un calo del 10% pari a 400 milioni di euro, con relativo minor gettito di Iva per 88 milioni, IRPEF, IRES ecc. (vedi pag. 52 rapporto Enea 2019)
Eppure, i dati alla fonte, di produzione di serramenti, riportati sempre sul rapporto Enea indicano una crescita globale di circa il 3% per un totale di circa 3 miliardi di serramenti per il residenziale. In conclusione, il mercato cresce ma le richieste di incentivi ad Enea diminuiscono a 2 cifre.

È probabile che la riduzione del Bonus da 65 a 50% abbia allettato una parte dei consumatori a comprare in nero con un’offerta del 22% di risparmio immediato piuttosto che diluire il 50% in 10 lunghi anni.
Pare che il legislatore ritenga che non sia opportuno riposizionare il bonus al 65%. A mio sommesso parere, sbaglia poiché non solo emergerebbe almeno un miliardo di nero con un gettito IVA di 220 milioni, ma vi sarebbero anche maggiori introiti per IRPEF, IRES e tributi sul lavoro.

Il legislatore allora escogita l’articolo 10 con lo sconto in fattura, chiedendo ai produttori dei relativi beni di diventare banchieri!! compensando il bonus ricevuto in pagamento con le imposte dei successivi 5 anni, sempre che sia capiente. Dai bilanci si evince che mediamente il 50% delle somme incassate, serve solo a pagare le materie prime. Poi non ci sarebbe liquidità per pagare stipendi, utenze, trasporti e servizi vari. Nessuna impresa sopravvivere più di 12 mesi.

Effetti dello sconto in fattura

Gli unici ad avere adeguati mezzi finanziari sono 3 grandi catene distributive del settore, 2 di proprietà francese e l’altra tedesca, rispettivamente 1, 5miliardi, 1 miliardo e 413 milioni di ricavi. Purtroppo, queste catene distributive per la gran parte del loro fabbisogno si approvvigionano da produttori non residenti sul territorio Italiano.
Una catastrofe per le 28 mila piccole imprese Italiane, solo nel settore serramenti. Qui si perderanno migliaia di posti di lavoro, altro che i 400 posti della Whirlpool di Napoli! La tragedia che apre l’articolo 10 nei confronti delle PMI coinvolte è davvero immane.

Già i consumatori hanno congelato ogni decisione in attesa di avere notizie più chiare. Nel frattempo, in quello che di norma è il periodo più proficuo dell’anno, c’è il serio rischio che le imprese debbano fare ricorso ad ammortizzatori sociali.

L’articolo 10 è una pistola puntata alla tempia delle imprese italiane del settore.

Esso va assolutamente eliminato. In subordine il MISE dovrebbe istituire una garanzia, magari con cifra predeterminata, verso il sistema bancario affinché le imprese possano monetizzare i bonus. Non si tratterebbe di ulteriore debito ma solo di assunzione di rischio. Tra l’altro il rischio è bassissimo poiché si tratta di cessione di un diritto acquisito.
Tuttavia, per onestà intellettuale, anche in questo caso, il consumatore sarebbe comunque penalizzato poiché i relativi oneri finanziari andrebbero a gravare i costi per il consumatore, tra l’altro confidando sull’onestà del venditore e del consumatore che non dovrebbero inserire i suddetti costi nei beni oggetto di detrazione fiscale!

L’articolo 10 è un provvedimento “Bandiera”, di una parte politica, fatto sicuramente in buona fede. Tuttavia onestà intellettuale vuole che quando qualcosa va nella direzione opposto di quella immaginata, con il rischio di creare migliaia di disoccupati ed il suicidio di qualche piccolo imprenditore (non è un‘ iperbole ma rischio concreto).
Allora con umiltà si ammetta l’errore e si ponga rimedio.

Conclusione: fintanto che c’era l’aliquota del 65% filava tutto liscio anche per il fisco. Poi i decisori politici, anziché fare tesoro del motto latino “quieta non movere”, hanno deciso di metterci mano, prima con la riduzione dell’aliquota dal 65 al 50, poi il colpo magistrale dell’articolo 10 e lo sconto in fattura.

Francesco Mangione
SPI spa