Galleria Campari, un museo aziendale che racconta il Paese attraverso la storia di un brand iconico, fonte di ispirazione per altre realtà italiane
Campari è stata l’antesignana di un modo del tutto nuovo e straordinariamente potente di comunicare, facendo dell’arte e del design l’espressione di un brand innovativo, che si è fatto interprete originale di un mondo e di un tempo in profonda trasformazione. Sono infatti diventati iconici molti dei messaggi pubblicitari realizzati dall’azienda, che ha coinvolto artisti e designer capaci di illustrare aspetti di costume, ambizioni e attitudini di consumo delle nuove classi sociali che andavano affermandosi nel XX secolo.
Ci sembra importante raccontare questa peculiare esperienza di management e strategia comunicativa, tanto da racchiuderla in un museo aziendale che potrebbe essere di ispirazione per altre realtà, anche più piccole. Sappiamo infatti che molte aziende italiane dispongono di un percorso particolare di crescita, innovazione e sviluppo, fatto di intuizioni e capacità manageriali uniche, che meritano di essere raccontate e valorizzate.
Perché attraverso le radici e la storia di un’azienda si può capire e comunicare meglio la ricchezza del presente.
Galleria campari: nasce il museo
Nel 2010, in occasione del 150° anniversario del brand, apre Galleria Campari, un museo aziendale interattivo reso possibile dalla ricchezza dell’archivio storico dell’azienda, che raccoglie oltre 5.500 opere su carta, affiche originali della Belle Époque, manifesti e grafiche pubblicitarie, caroselli e spot girati da importanti registi, oltre a oggetti realizzati da famosi designer.
Galleria Campari si trova all’interno della palazzina Liberty di Sesto San Giovanni (MI), sede storica della prima fabbrica Campari, aperta nel 1904 da Davide Campari e rimasta attiva, con numerosi interventi di ampliamento, fino al 2005.
Tra il 2007 e il 2009, il complesso industriale è stato oggetto di una profonda trasformazione per destinarlo a diventare sia la sede di Campari Group sia il museo aziendale.
Il fulcro del progetto, curato dagli architetti Mario Botta e Giancarlo Marzorati, si è concentrato sulla conservazione dell’edificio storico del 1904, che è stato integrato in un nuovo corpo di fabbrica, di cui diventa la facciata. Sulle pareti laterali dell’edificio storico trovano spazio due bassorilievi disegnati da Mario Botta e ispirati a due bozzetti di Fortunato Depero.
Arte, comunicazione, produzione
Galleria Campari offre un vasto e multiforme patrimonio culturale e di identità, all’insegna del “marketing heritage”, che non solo contribuisce ad aumentare la cultura d’impresa e a valorizzare la reputazione del brand, ma, in questo caso specifico, anche a offrire un vero e proprio viaggio attraverso alcune tappe salienti di oltre un secolo di storia artistica.
Una narrazione che si sviluppa lungo una serie di Wunderkammern, che raccontano il rapporto di Campari con il mondo dell’arte, del bar, con la città di Milano, l’evoluzione del packaging, del merchandising e del design contemporaneo.
La struttura della Galleria è infatti articolata in due sezioni, in un vero e proprio percorso spazio-temporale, dove la prima – che si trova al piano terra – è dedicata al racconto della storia del brand, seguendo tre linee guida: arte, comunicazione e produzione.
Nella seconda, al primo piano, si trova la messa in scena del prodotto attraverso il mondo del bar, bottiglie e bicchieri storici, una selezione di oggetti di design e merchandising vintage e insegne risalenti agli anni ‘60 e ’70, oltre a svariati memorabilia.
Campari, una storia unica
La storia del tutto speciale di questa azienda inizia dall’intraprendenza di Gaspare Campari che, nel 1860, crea – oltre a vari liquori – l’aperitivo rosso che ancora oggi porta il suo nome e la cui ricetta è tuttora segreta.
Il centro dell’attività, a partire dal 1867, è il Caffè Ristorante Campari, storico locale in Galleria Vittorio Emanuele II a Milano.
Nel 1888 la guida dell’azienda passa nelle mani del figlio Davide, uomo di marketing geniale, che segna altresì il passaggio dalla produzione artigianale a quella industriale, aprendo lo stabilimento di Sesto San Giovanni.
Davide Campari sceglie l’arte come linguaggio nuovo e privilegiato di comunicazione, attuando strategie comunicative all’avanguardia che portano il brand ad affermarsi a livello nazionale e internazionale.
Dalle sue intuizioni nascono, infatti, alcuni tra i più iconici manifesti della storia della comunicazione del Novecento e innovative trovate pubblicitarie, in una felice combinazione tra spirito imprenditoriale all’avanguardia e inedito processo creativo.
L’arte e gli artisti dietro il mito campari
L’arte si pone infatti, nelle intenzioni di Davide Campari, come il medium privilegiato di uno stile comunicativo che intende distinguersi e sorprendere, in cui risalta un aspetto peculiare che contraddistingue tutte le declinazioni pubblicitarie usate da Campari: non compare mai l’invito esplicito al consumo dei propri prodotti, bensì l’evocazione di ambienti sociali dove la presenza del liquore entra nella descrizione di situazioni e contesti attuali e aspirazionali, che si connotano e si distinguono per la presenza dei liquori Campari.
E se molti sono gli artisti che hanno collaborato con passione e originalità – qui di seguito abbiamo selezionato alcuni nomi fra i più celebri – la visita alla Galleria testimonia altresì l’attenzione lungimirante verso diverse forme espressive, confidando nella loro efficacia comunicativa trasversale. L’azienda, per esempio, intuisce subito la potenzialità del mezzo televisivo e, infatti, in Galleria Campari è possibile prendere visione di svariati spot prodotti dal 1954 in avanti.
Tra il 1927 e il 1933 viene pubblicata settimanalmente sul Corriere della Sera una poesia dedicata alle glorie del Bitter e del Cordial. I componimenti, scritti dal critico teatrale Renato Simoni, sono raccolti in cinque volumi chiamati “Cantastorie di Campari” e illustrati da Ugo Mochi, Primo Sinopico, Sergio Tofano e Bruno Munari: personalità artistiche diverse, ognuna delle quali ha impresso a suo modo la propria cifra espressiva e stilistica ai messaggi pubblicitari realizzati per Campari.
E quindi, il fiorentino Ugo Mochi – conosciuto come il “Poeta delle ombre” – negli anni ’20 ritaglia immagini da un sottilissimo foglio di cartoncino nero e le incolla su carta bianca, creando scene raffinate che associano Campari all’eleganza di salotti, teatri, studi di artista, concerti jazz, picnic alla moda.
Anche Marcello Nizzoli, un altro maestro della grafica e del design, inizia a collaborare negli anni ’20 con Campari. Sono suoi i due celebri manifesti nei quali la bottiglia di Bitter e quella di Cordial sono protagoniste della scena, come nelle più classiche nature morte di stampo cubista.
Nello stesso decennio, anche Bruno Munari – uno tra i maggiori protagonisti dell’arte del Novecento – inizia a collaborare con Campari tramite la serie “I diari di Petronio”, e nel 1931 illustra il quinto volume del “Cantastorie”. Più tardi, nel 1964, in occasione dell’inaugurazione della linea metropolitana M1, Munari realizza il celebre manifesto “Declinazione grafica del nome Campari”, collocato in moduli ripetuti nelle stazioni della metro. Munari, in quest’opera, scompone e ricompone storici lettering Campari, offrendo così al passeggero una sorta di animazione quasi optical, grazie alla velocità dei vagoni in corsa.
E poi c’è Adolfo Hohenstein che, in piena Belle Époque, realizza per Campari due manifesti che si collocano fra il realismo fotografico e l’Art Nouveau: la scena dei due uomini al tavolino di un caffè mentre bevono Campari diventa il simbolo del rituale italiano dell’aperitivo.
Fra i numerosi artisti iconici spicca Fortunato Depero, che ha segnato l’inizio dell’apertura dell’azienda a nuovi linguaggi pubblicitari, mutuando stilemi del Futurismo. Rivoluzionando completamente il concetto di manifesto, Depero ha creato per Campari soggetti multicolore, bozzetti con china nera di grande impatto visivo, fino a una serie di “arredi pubblicitari”, cioè alcuni mobili creati per i bar e le location Campari, senza poi dimenticare il famoso design della bottiglietta del Campari Soda lanciata nel 1932, per la quale Depero ha proposto una vera immagine integrata anche a livello di comunicazione, in cui il lettering dalle forme dure e nette si sposa ai suoi famosi omini meccanici.
Anche Nicolaj Diulgheroff esprime la sua vena futurista nelle sue tempere su cartoncino, dove il Cordial Campari è raffigurato nella piena coerenza di linguaggio estetico di questo movimento artistico, con l’estetica della macchina, l’interesse per il dinamismo e la velocità, la fusione tra lettere e immagini e la libertà dall’impaginazione tradizionale.
I lavori del triestino Marcello Dudovich – uno dei maestri della cartellonistica europea – associano i prodotti del brand a scene raffinate di vita dell’alta società, con un fondo di provocazione. Suo uno dei manifesti più iconici e trasgressivi, su fondo rosso – antesignano del futuro claim “Red Passion” – dove si vedono due amanti nell’atto di baciarsi.
Altrettanto insolita è l’immagine del 1913 di una donna vestita di giallo, raffigurata mentre, a un tavolo di dame e ufficiali, versa del Cordial Campari a un’amica. Si tratta della rappresentazione di un piccolo gesto di emancipazione: un’istituzionalizzazione della rottura delle etichette dell’epoca, che avrebbero invece previsto un intervento maschile nel servizio del liquore.
Nel 1921 Leonetto Cappiello disegna “Lo Spiritello”, un manifesto che diventa icona del marchio, mettendo al centro un surreale personaggio-testimonial/mascotte, avvolto dalle spire di una buccia d’arancia, nel gesto di offrire il Bitter Campari.
Franz Marangolo, negli anni ‘60-’70, è stato uno degli ultimi artisti a disegnare i manifesti per Campari, prima che la fotografia si affermasse in modo ineludibile nella pubblicità. Nelle sue opere i protagonisti evocano attori e attrici dell’epoca come Audrey Hepburn o Gregory Peck, e descrivono uno stile di vita urbano e moderno.
Un successo di storia e di pubblico
Dall’apertura al 2024, circa 180.000 persone hanno visitato Galleria Campari. E se la Galleria illustra la storia della comunicazione dell’azienda fino agli anni ’90, è evidente che le scelte pubblicitarie successive traggono origine proprio da quei gloriosi decenni, le cui linee strategiche hanno permesso di adattarsi alle mutate sensibilità del tempo e del mercato, avvalendosi sempre di collaborazioni prestigiose e diversificate: dal maestro del cinema Federico Fellini, autore di uno spot nel 1984 e omaggiato nel 2020 con il documentario Fellini Forward, al collettivo d’arte AVAF (Assume Vivid Astro Focus), fino ai registi Paolo Sorrentino, Stefano Sollima e Matteo Garrone per il progetto Red Diaries, e ai fotografi tra i più noti che, dal 2001 al 2016, hanno firmato le diverse edizioni del calendario.
MUSEI AZIENDALI
Le funzioni dei musei aziendali, veri e propri strumenti di marketing e di promozione per svariati motivi.
- La conservazione: per la valorizzazione del patrimonio storico e culturale dell’azienda
- La promozione e il marketing: per la crescita della consapevolezza e della reputazione positiva del marchio
- L’educazione: per l’informazione e la guida intorno alla storia, la cultura e i prodotti dell’azienda, quasi sempre molto connessa anche al territorio
- Il turismo: per l’attrattiva turistica nei distretti e nelle località in cui si trova il museo e l’azienda
a cura di Frida Nobile, Foto di Marco Curatolo

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