Attualità

Come vivere bene la propria casa

Klimahouse 2023 ha proposto un programma formativo particolarmente ricco di input sulle più recenti soluzioni a misura d’uomo per rendere le abitazioni luoghi sicuri e sostenibili sia per il corpo che per l’ambiente

L’uomo è stato stato creato per vivere in un ambientre naturale, e i dati ci dicono che gli spazi confinati, quelli dove dove passiamo il 90% della nostra vita, sono quelli più critici, in cui è presente il maggiore tasso di inquinanti. Bisogna quindi rendere le abitazioni un ambiente salubre, che ci consenta di mantenere in equilibrio il nostro organismo.

Questi importanti concetti sono stati ribaditi durante l’edizione di quest’anno di Klimahouse nel corso di una serie di eventi formativi curati da Health Academy, l’organizzazione che fa capo alla giornalista Maria Chiara Voci, una presenza ormai consolidata alla fiera dell’edilizia sostenibile.

Ci preoccupiamo da dove viene il cibo che mangiamo, ma non abbiamo ancora la stessa sensibilità riguardo ai materiali  con cui sono costruiti gli edifici che ci contengono.

L’attenzione ai fattori che influiscono sul nostro corpo dovrebbe invece essere a 360 gradi, con il tema della salubrità al centro, nella consapevolezza che non la si può ottenere con prodotti petrolchimici. È incoraggiante comunque constatare che la domanda di componenti ecocompatibili sta crescendo: evidentemente sono sempre di più coloro che si pongono il problema di quali materiali sono stati utilizzati per la propria casa, però c’è ancora molto lavoro da fare per far capire alla maggioranza dei committenti che l’abitazione è l’investimento più importante della nostra vita, e che bisogna fare scelte consapevoli.

Vivere in una casa costruita con metodi e materiali sostenibili è un po’ come indossare un vestito in fibre naturali, che ci dà una sensazione di comfort e benessere impossibile da ottenere con i tessuti sintetici.

 

Vivere bene in una casa naturale

I materiali naturali nell’edilizia di qualità a Klimahouse erano ben rappresentati, per esempio, dal sughero di Tecnosugheri, col quale si possono realizzare cappotti sia esterni che interni; dalla serie di prodotti per l’edilizia di Biomat in canapa, un materiale dalle molte proprietà e potenzialità, che oltretutto sequestra una notevole quantità di Co2; dagli elementi e sistemi costruttivi realizzati con gli scarti della lavorazione del riso di Ricehouse e dalle case in legno di Rubner Haus, un’azienda in grado di realizzare edifici all’insegna della salubrità e sostenibilità ambientale, grazie al controllo totale della filiera che va dall’albero alla casa.

Anche quello che si mette dentro a un’abitazione deve essere valutato con attenzione, infatti non ha senso investire in una casa naturale se poi come mobili si usano elementi realizzati con il diffusissimo pannello truciolare in Mdf impiallacciato, un prodotto decisamente non salutare. Per fortuna oggi si stanno facendo passi avanti nello sviluppo di nuovi materiali eco compatibili per l’arredamento.

 

I pericoli dell’aria indoor

In Italia ogni anno si contano ben 80-90mila persone affette da patologie respiratorie, dovute soprattutto all’aria insalubre che respiriamo al 90-95% indoor, in case, scuole, uffici ecc. Quella degli edifici malati è ormai una sindrome ufficialmente riconosciuta dall’Oms. Come rimediare? La ventilazione degli ambienti rappresenta una valida soluzione, e la si può ottenere semplicemente aprendo le finestre, ma così facendo rischiamo di compromettere la temperatura interna e di far entrare l’inquinamento esterno. Una risposta può essere la Vmc, la ventilazione meccanica controllata, un dispositivo che oggi è anche in grado di sanificare l’aria che immettiamo negli ambienti, oltre che di filtrarla, e in alcuni casi anche di ionizzarla, in modo da garantire la salubrità di ciò che respiriamo al chiuso, insieme al costante ricambio dell’aria.

La qualità dell’aria non è l’unico fattore legato al benessere abitativo: anche la la luce ha la sua importanza, e pure l’impiego di materiali naturali; il massimo però si ottiene quando nel progetto vengono inclusi elementi della natura, come suggerisce la biofilia. Non si tratta semplicemente di inserire piante negli uffici o negli spazi abitativi, ma è qualcosa di più articolato.

 

Un aiuto dalla biofilia

Circa 40 anni fa il biologo statunitense Edward Osborne Wilson ipotizzaò che l’essere umano abbia un’affiliazione innata verso la natura e le forme di vita, e non solo per una mera questione di sostentamento, ma per riceverne un beneficio dal punto di vista psicologico, fisiologico ed evolutivo: la natura insomma può avere una serie di effetti positivi su di noi. Col passare del tempo, Stephen R. Kellert, professore emerito di ecologia sociale presso la Yale School of Forestry & Environmental Studies, ha applicato questo concetto anche al mondo dell’architettura, spiegando che si possano progettare costruzioni idonee a favorire la connessione dell’uomo con la natura. Il protocollo Living Building Challange infatti vede gli edifici un po’ come un fiore o un albero, e contiene anche l’invito agli architetti a inserire all’interno degli spazi costruiti alcuni elementi di bellezza, un concetto strettamente legato alla biofilia. Ai progettisti non viene richiesto di applicare necessariamente tutti gli elementi del protocollo, ma di farne buon uso all’interno dell’edificio.

La Biophilic Society, che riunisce gli appassionati di questi temi a livello internazionale, ha stilato un manifesto, la cui idea di fondo è che riconnetterci con la natura porti benefici all’intera umanità: la speranza quindi è che tutta la società diventi biofilica, il che farebbe intravedere qualche possibilità per la soluzione dei problemi mondiali.

 

La difesa dai contagi

Il covid ha fatto capire l’importanza di stare all’aria aperta, però questo non sempre è possibile, anzi, quasi mai, alla luce delle percentuali sopra riportate sulla quantità di tempo che trascorriamo al chiuso. Da qui l’importanza della ricerca di una elevata qualità dell’aria indoor, ma anche di metodi di prevenzione di patologie sanitarie in chi vive e lavora in ambienti confinati.

Ne ha parlato a Klimahouse Giorgio Buonanno, Ordinario di Fisica Tecnica Ambientale presso l’Università di Cassino e professore aggiunto presso la Queensland University of Technology di Brisbane in Australia, oltre che unico italiano fra i 43 scienziati chiamati dall’Oms a ridefinire il modello di riferimento che spiega la trasmissione degli agenti patogeni respiratori nell’aria. È un grande esperto di fluidodinamica, ovvero di come l’aria si muove all’interno degli ambienti, presupposto essenziale per capire come ci si può proteggere contro i contagi.

Sembra incredibile, ma all’inizio della pandemia l’Oms ha rigettato l’idea che il virus si trasmettesse per via aerea, osteggiando il gruppo di scienziati che la sosteneva. Da qui i drammatici errori commessi dalle autorità sanitarie.

Un agente patogeno respiratorio si trasmette essenzialmente in tre modi, ha spiegato Bonanno: attraverso la cosidettta deposizione (particelle grandi), attraverso il contatto, ma soprattutto per inalazione. Ogni persona in ogni atto respiratorio emette particelle di diversa dimensione, e molte di queste sono in grado di galleggiare nell’aria. Queste particelle, generate in diverse parti dell’apparato respiratorio (bronchioli, laringe, bocca), possono arrivare a essere inalate da una persona suscettibile sia a breve che a grande distanza, soprattutto se rimangono in un ambiente chiuso dove non c’è ventilazione. Il rischio aumenta al diminuire della distanza fra una persona che parla e una che ascolta, e dipende anche dal tempo di permanenza. Negli ambienti aperti c’è solo il rischio di prossimità, per cui non ha senso mettersi la mascherina se non si è davanti a una persona che sta parlando, anche camminando in una strada affollata.

Negli ambienti chiusi invece c’è, oltre al fattore della prossimità, anche il fatto che queste particelle rimangono nell’ambiente, pure se un po’ se ne vanno per deposizione, un po’ per inattivazione. L’unico intervento che si può fare è la ventilazione, prendendo aria pulita dall’esterno e portando fuori quella interna, diluendo così l’inquinante. La ventilazione è una delle possibilità della gestione del rischio, ma ancora più importante è la riduzione dell’emissione. Noi emettiamo in maniera diversa a seconda dell’attività respiratoria, cambia se si parla ad alta o bassa voce, e in alcuni ambienti non si può portare la ventilazione a livelli esagerati, quindi bisogna intervenire sulla distribuzione dell’aria.

 

Un nuovo strumento di protezione

Trattare l’aria di prossimità delle persone piuttosto che un intero ambiente è più gestibile economicamente. È stato così messo a punto un piccolo device, una sorta di purificatore personale che, agendo sulla base dei principi della fluidodinamica, crea attorno alla zona di respirazione un volume sicuro. È dotato di batteria ed è facilmente trasportabile (15-20cm), è una sorta di respiratore 2.0 con un’efficienza superiore al 95% che non provoca alcun fastidio all’utilizzatore. In seguito a progressivi perfezionamenti dello strumento, ora si è in grado di arrivare alla distanza interpersonale di mezzo metro in sicurezza. Bonanno ha fatto l’esempio di un’aula in cui un docente parla ad alta voce: tipica situazione in cui il virus dilaga, ma se si mette il tool davanti a una persona, questa è protetta. Dal punto di vista funzionale sono stati quindi raggiunti risultati pienamente soddisfacenti, stanno solo finalizzando una forma gradevole esteticamente, poi lo strumento sarà disponibile.

Il messaggio che vuole lanciare è che gli scienziati in grado di valutare il rischio negli ambienti chiusi sia nella prossimità che a distanza, e ora anche di attuare le misure di protezione per avere un controllo del rischio. Grazie alla fisica quindi è possibile gestire gli ambienti indoor in base a comfort, risparmio energetico, inquinamento e tresmissione delle malattie da patogeni respiratori. Un altro rischio contro cui Bonanno ha messo in guardia sono i livelli elevati di Co2 negli spazi chiusi. Consiglia di monitorare regolarmente questi valori, dato che un eccesso di anidride carbonica può causare notevoli disagi, fra cui serie difficoltà durante la fase del sonno.

In conclusione del suo intervento un interessante dilemma: di chi è la responsabilità di un ambiente salubre? Di chi ci entra e si deve difendere contro eventuali inquinanti e/o virus, o di chi gestisce questo ambiente? Speriamo che si faccia presto chiarezza.

 

L’eco rivestimento igienizzante

È stato dato spazio anche alla startup REair, che ha elaborato un coating fotocatalitico per mettere in sicurezza gli ambienti sia indoor che outdoor. Si tratta di un rivestimento composto da molecole fotosensibili che una volta colpite dalla luce (naturale o artificiale) ed espostel’umidità dell’aria si attivano, permettendo all’ossigeno di reagire con le sostanze con cui entra in contatto, accelerando la decomposizione delle sostanze organiche nocive presenti nell’ambiente e riducendo i livelli elevatissimi della carica batterica, con un’efficacia che dura nel tempo. È una soluzione completamente green, composta al 100% da elementi naturali, che assicura aria e ambienti puliti.

La startup propone anche una serie di sensori wireless in grado di fornire i dati relativi a Co2, umidità, temperatura, sostanze chimiche presenti nell’aria, radon, pressione e luce, oltre al livello di affollamento degli ambienti. Questi sensori trasmettono i dati al cloud, per esempio per la gestione della Vmc. Si possono raccogliere i dati su periodi lunghi, agendo poi sui parametri più importanti. Se c’è il radon la ventilazione non basta, bisogna ricorrere ad altri tipi di interventi. L’importante è monitorare in continuo.

 

a cura di Lucia Carleschi