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OCSE: le società devono pagare le tasse dove fanno affari

L’ importante Organizzazione per la cooperazione e per lo sviluppo economico, rilancia il tema della tassazione delle multinazionali, del web e del lusso (ma non solo queste)

Ocse: le tasse vanno pagate dove le società multinazionali fanno business e accumulano profitti. L’ importante Organizzazione per la cooperazione e per lo sviluppo economico, rilancia il tema della tassazione delle multinazionali, del web e del lusso (ma non solo) con una proposta che sta facendo discutere molto, fa arrabbiare le grandi multinazionali del big tech – da Google ad Apple, Facebook e Amazon – , comincia ad impensierire quelle del lusso che pare siano campioni di pratiche elusive, mentre incontra il favore dei consumatori e naturalmente di molti governi sempre a caccia di introiti.
Qualche giorno fa l’ Ocse ha formulato una proposta di web tax (chiamiamola ancora così ma non è solo questo) dopo estenuanti trattative con 130 paesi. La proposta dovrà avere però l’appoggio del G20, l’intergruppo tra le venti economie più forti al mondo che si riunirà a breve.
Il segretario generale dell’Ocse Angel Gurria ha dichiarato che “assicurare che i grandi e redditizi gruppi multinazionali, ivi incluse le società digitali, paghino le tasse dovunque abbiano significativi legami diretti con i consumatori e generino profitti”. Oggi è noto che tutti questi grandi gruppi trasferiscono gli utili in stati dove la fiscalità è estremamente vantaggiosa. Con la proposta Ocse non tutti i profitti generati in un paese dove si fa business verrebbero tassati ma una quota parte sì a prescindere dalla presenza di una sede fisica. Manca ancora la precisazione di importanti dettagli e parametri di calcolo.

E’ chiaro che lo sviluppo di nuovi modelli di business e dell’economia e delle organizzazioni digitali rende sempre meno indispensabile la presenza di una sede fisica in un dato paese da parte di aziende che pur manifestano una presenza permanente e stabile, anche se eterodiretta. Così il tradizionale concetto di stabile organizzazione basata su criteri di mera presenza fisica e su cui si basa la fiscalità di uno stato viene meno.

Ciò accade, anche se su scala minore rispetto al mercato delle big tech, anche nel settore del serramento. Qui oramai da anni si assiste alla presenza molto attiva di operatori esteri che si guardano bene dall’avere una sede fisica fissa. OPeratori grandi e piccoli. C’è un flusso ininterrotto giornaliero di camion grandi piuttosti che di piccoli furgoncini che trasportano serramenti (vedi il caso esemplare ma non unico) come ben sanno gli operatori del Nord Est, delle Marche, della Puglia e di tante altre regioni.

Grandi e piccoli generano affari per centinaia di milioni di euro su cui non pagano un euro di tasse in Italia, hanno una fitta rete di agenti, i quali magari pagano le tasse all’estero, e presentano un’organizzazione stabile e permanente anche se invisibile in quanto digitale. Si crea così una competizione impari con le aziende produttrici locali e con i rivenditori esteri che hanno una presenza stabile dichiarata e che quindi pagano le tasse nel nostro paese. Il malumore degli operatori in regola con il fisco aumenta a dismisura e diventa rabbia quando una importante quota dell’ecobonus per gli interventi di riqualificazione energetica se ne va oltre frontiera a profitto di aziende che non versano un euro di tasse in Italia e non creano lavoro e ricchezza nel paese.

La beffa aumenta a dismisura quando l’intervento di aziende estere è rivolto direttamente ai consumatori che porteranno in detrazione Irpef le fatture di efficientamento energetico mentre l’operatore estero non sarà soggetto alla ritenuta d’acconto dell’8% obbligatoria per i bonifici da ecobonus avendo una banca d’appoggio estera che non è tenuta al versamento della ritenuta d’acconto.

Qualcuno ci ha accusato di essere diventati sovranisti. Assicuro che non è vero. La competizione internazionale è salutare. Noi siamo un paese esportatore per eccellenza e non possiamo pensare di chiudere il nostro mercato a questo o quel prodotto, soprattutto se di provenienza comunitaria. Certamente la competizione è salutare quando viene fatta ad armi eguali. E da anni questo non accade.

a cura di Ennio Braicovich